Le donne in fuga da El Salvador e dall’Honduras diventano più consapevoli dei loro diritti e trovano una nuova famiglia in Messico grazie a un progetto artistico.
Le strade di Tapachula, la città più trafficata al confine tra Messico e Guatemala, sono decorate da un nuovo murale. In toni caldi e vividi, raffigura una donna che tiene in braccio un bambino. Nel disegno ci sono anche i nomi delle oltre venti donne che l’hanno dipinto e le parole che riflettono i loro sogni: amore, fiducia, libertà, sicurezza.
“Questo murale rappresenta la nostra lotta quotidiana per andare avanti, racconta le nostre storie”, dice Manuela*, una donna di 48 anni da El Salvador, mentre indica le parole che ha deciso di dipingere sul murale: ‘Facciamo sentire la nostra voce’.
Manuela è stata in fuga dalle bande criminali salvadoregne per cinque anni. Se non poteva permettersi di pagare la tassa di estorsione che richiedevano – 170 dollari USA alla settimana – lei e sua madre venivano picchiate brutalmente. Durante una di queste orribili visite, la madre di Manuela è morta di infarto.
Sola e disperata, Manuela si è trasferita in un’altra città. Le bande l’hanno trovata sei mesi dopo e hanno minacciato di ucciderla. Così è iniziato il suo angosciante esodo, da una città all’altra, trascorrendo non più di una settimana in ogni luogo.
“Nessun luogo è sicuro a El Salvador”, dice Manuela.
Nonostante fosse terrorizzata, Manuela ha deciso di unirsi alla “carovana” di oltre 7.000 persone provenienti da Honduras, El Salvador e Guatemala, che a piedi si sono messe in viaggio verso nord in cerca di sicurezza alla fine di ottobre 2018.
Un’altra carovana è partita dall’Honduras il 14 gennaio e oltre 1.100 rifugiati e migranti hanno attraversato il confine tra Guatemala e Messico questa settimana, tra cui 145 bambini.
29.600 persone hanno chiesto asilo in Messico nel 2018 – un numero di richieste superiore di oltre dieci volte rispetto a quello registrato negli ultimi cinque anni. Sono in gran parte in fuga da violenze e persecuzioni dall’Honduras (46%), dal Venezuela (22%) e da El Salvador (21%), alcuni dei paesi con il più alto tasso di omicidi nel mondo. Di tutte le richieste di asilo ricevute dalle autorità messicane, il 56% è stato trattato nello stato meridionale del Chiapas, dove si trova Tapachula.
Le donne che hanno dipinto il murale lungo 14 metri provengono principalmente dall’Honduras e da El Salvador. Alcune sono fuggite da sole, altre con le loro famiglie o si sono unite alla “carovana”, come Manuela. Le bande le hanno minacciate, stuprate, hanno ucciso il loro familiari davanti ai loro occhi – la loro vita è a rischio e non possono tornare nel loro paese.
Le donne si sono incontrate all’inizio di dicembre per progettare, disegnare e dipingere il murale, nell’ambito di un progetto contro la violenza di genere sostenuto dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
“L’UNHCR sta lavorando con diversi gruppi di richiedenti asilo e rifugiati per consentire loro di avere spazi in cui possono trovare sicurezza, esprimere i loro sentimenti e lavorare per superare le esperienze traumatiche che hanno vissuto”, afferma Kristin Riis Halvorsen. “Molte di queste iniziative sono incentrate sulle donne sopravvissute alla violenza sessuale e di genere, molto diffusa tra le ragazze e le donne che provengono dal nord dell’America centrale”.
Nell’ambito dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, l’UNHCR ha organizzato una serie di attività a Tapachula per sensibilizzare e migliorare le reti in cui le donne possono parlare delle loro esperienze. Poiché i problemi affrontati dalle donne sono molto complessi e difficili da discutere, i progetti artistici sono stati progettati affinchè le donne potessero avere un veicolo diverso per esprimere i loro sentimenti e, attraverso una creazione collettiva, raggiungere un nuovo livello di fiducia e lasciarsi alle spalle le esperienze drammatiche che hanno vissuto.
Durante le lezioni per imparare a dipingere e a usare i colori, le donne hanno iniziato a fidarsi l’una dell’altra e attraverso il confronto hanno potuto rendersi conto di non essere le sole vittime di abusi.
“Ci siamo rilassate, abbiamo riso insieme, abbiamo dimenticato i problemi nei nostri paesi”, dice Janeth*, 45 anni, da El Salvador.
Insieme alle lezioni d’arte, si svolgevano anche esercitazioni collettive, in cui le donne riflettevano sulle loro esperienze traumatiche e diventavano più consapevoli dei loro diritti. Molte di loro non sapevano di poter chiedere asilo fino a quando non hanno raggiunto il confine messicano.
“Pensavamo che quello che i nostri partner ci dicevano dipendesse dal fatto che ci amavano”, dice Luisa*, sopravvissuta agli abusi sessuali in Honduras. “Ora sappiamo di avere dei diritti e che non dobbiamo soffrire”.
Janeth, 45, indica un angolo nascosto del murale, vicino al pavimento. In quell’angolo ha dipinto una piccola lapide con una grande croce grigia circondata da uccelli in volo. C’è il nome di suo figlio, che ha perso la vita a diciassette anni.
“Volevo catturare il mio dolore”, dice con gli occhi arrossati.
Il figlio di Janeth non è riuscito a fuggire dalla banda criminale che voleva reclutarlo a El Salvador. Il suo rifiuto gli è costato la vita. Quella notte di novembre, nel 2017, Janeth era a casa e stava per andare a letto. Ha sentito i colpi di pistola e ha capito subito cosa era successo.
El Salvador è uno dei paesi più pericolosi al mondo per i giovani, in particolare per i ragazzi. Nel 2015, 207,5 ragazzi ogni 100.000 hanno perso la vita, principalmente a causa di omicidi. Questo dato è significativamente superiore alla media globale (149 ogni 100.000), secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L’iscrizione alla scuola secondaria è inferiore al 38%, ben al di sotto della media dell’America Latina del 74%.
Dopo la morte del figlio Janeth ha dovuto lottare contro la depressione, ma non poteva rischiare di esserne sopraffatta: doveva proteggere sua figlia Alma*, che ha 13 anni. La stessa banda che ha ucciso suo figlio voleva reclutare con la forza Alma per diventare la fidanzata di uno dei membri della gang, in realtà una schiava sessuale.
La famiglia è fuggita in un’altra città, dove Alma ha dovuto cambiare scuola ogni due mesi per non essere trovata. La banda l’ha trovata dopo sei mesi dopo e Alma non è più potuta uscire di casa.
Janeth e Alma sono arrivate a Tapachula meno di un mese fa. Volevano trovare un posto sicuro e stabile in cui Alma potesse continuare gli studi e diventare infermiera.
“Non voglio andare negli Stati Uniti, voglio studiare qui”, dice Alma.
Quando riflettono sul progetto artistico, le donne sottolineano quanto sia stato utile per tutte loro. “Il murale ci fa sentire che siamo esseri umani, che sopravvivremo indipendentemente da ciò che succede”, dice Luisa. “Ma non saremmo in grado di farlo senza il supporto delle istituzioni”.
Luisa trema ancora quando vede uomini tatuati per strada. Ogni volta rivive il trauma che ha subito in Honduras, quando è stata violentata da due uomini incappucciati. Ma a Tapachula si sente al sicuro.
“Ho trovato una famiglia che non conoscevo prima”, aggiunge.
Entusiaste e orgogliose dei risultati del progetto artistico, le donne non vedono l’ora di continuare a imparare, per esempio nel campo dell’estetica, della sartoria o della cucina, per trovare un lavoro a Tapachula.
Sorridendo, Luisa aggiunge: “Dopo questo progetto, potremmo diventare artiste”.
* I nomi sono stati cambiati per motivi di protezione.
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